È penosa l’eredità lasciata dalla giunta Raggi e dalla gestione ATAC sui trasporti di Roma. Fermate metro chiuse per mesi per incidenti e interventi mal programmati, riduzione del servizio della Roma-Lido, manutenzioni delle metro finanziate dal 2017 e ancora non avviate, “flambus”. Ma il fondo del barile lo abbiamo toccato coi tram. Una dopo l’altra, le linee sono giunte a fine vita: i binari cedono, i convogli invecchiano e i risultati si traducono nel rallentamento, la riduzione e la progressiva soppressione delle corse.
Insomma tutta la rete dei trasporti è disastrata e, complice anche il covid, il traffico è sempre più congestionato.
Ripartire
Spetta alla nuova amministrazione l’onere di ripartire. Il recente incontro fra Draghi e il sindaco Gualtieri su infrastrutture e mobilità e il finanziamento extra per la ristrutturazione della rete tranviaria rappresentano un primo passo: per dirla con le parole dell’assessore Eugenio Patanè, un ritorno alla tanto agognata cura del ferro.
Attenzione, però, ci troviamo di fronte a un bivio assai delicato. A Roma non basta rimettere in moto quello che c’è. Roma è immobile da molto tempo, è rimasta molto indietro per quantità e qualità delle sue infrastrutture di trasporto. In altre parole, alla città non basta una manutenzione, perché ripristinare il servizio non è comunque sufficiente per risolvere i problemi di immobilità della città. Ha invece urgente bisogno di riguadagnare ampie falcate in tema di reti, tecnologie, efficienza. Deve cioè porsi da subito l’obiettivo di come invertire, nel medio e anche nel breve periodo, il modo di muoversi al suo interno, a tutto vantaggio del servizio pubblico di massa.
Scegliere
Per questo motivo, il servizio deve essere concepito – come mai è stato – fortemente attrattivo. Deve porsi l’obiettivo di diventare opzione prioritaria per l’utenza. Prioritaria al punto di raddoppiarla, per arrivare dal 22% degli spostamenti quotidiani effettuati con il trasporto pubblico ad almeno il 40% della media europea. Solo così si riducono le emissioni.
A questa scelta l’amministrazione è chiamata subito, perché un passo falso oggi rischia di pregiudicare molte possibili opzioni virtuose domani.
Il nodo tranviario è un capitolo centrale di questo processo.
Ammodernare
La necessità di ristrutturare progressivamente l’intera rete deve diventare l’occasione per ripensarla radicalmente non tanto nei tracciati del ferro (sono funzionali quelli esistenti, i due in via di prossima realizzazione coi fondi del PNRR e buona parte degli altri inseriti nel PUMS) quanto nell’apparato tecnologico e infrastrutturale. Occorrono tram veloci, che assolvano ad un efficiente servizio di collegamento, regolare e senza intoppi. Come quelli di ultima generazione che girano nelle città francesi e che sono arrivati anche in due città italiane: Firenze e Palermo.
Sono tram con tre caratteristiche basilari: sede esclusiva, priorità semaforica, fermate più distanziate.
A Roma questo sistema si può implementare sia sulle nuove linee che su quelle esistenti, quantomeno cominciando a efficientarne ampie tratte.
Riqualificare
I nuovi fondi per la rete tranviaria romana possono dunque essere l’occasione per ripensare la rete e renderla più veloce e regolare, con sedi riservate al solo tram (su marciatram dove possibile) sull’esempio di Firenze e Palermo. Che è anche occasione per ridisegnare strade, come via Nazionale, che con il TVA può diventare un boulevard con ampi marciapiedi, alberature e pavimentazioni di qualità come i sampietrini, evitando l’asfalto. O riqualificare l’asse della Prenestina, il Verano e Regina Elena e persino via Casilina tra Pigneto e Centocelle.
Sciogliere il nodo
Ma per fare questo, occorre risolvere un complesso collo di bottiglia che pregiudica l’efficienza dell’intero sistema, perché rappresenta oggi un forte rallentamento obbligato, che si ripercuote sulla regolarità di tutta la rete: lo snodo di Porta Maggiore.
A riguardo abbiamo da tempo studiato una soluzione che ci pare molto efficace perché offre un doppio vantaggio.
Da un lato quello di facilitare l’ammodernamento di interi segmenti tranviari esistenti, dotandoli di una propria capacità funzionale, nel senso indicato. Si può dunque snellire e fluidificare la circolazione tranviaria attorno alla piazza, senza peggiorare le condizioni già critiche per il traffico. Secondo la logica di favorire il trasferimento della mobilità dalla gomma al ferro, lavorando sul confronto tra un sistema che resta asfittico e un altro che diventa sempre più performante.
Dall’altro lato la soluzione che proponiamo risolve la sistemazione urbana di Porta Maggiore riconsegnando alla pedonalità tutta l’ampia area archeologica (compresa la Basilica Sotterranea) e facendone, in prospettiva, un polo di servizi di quartiere, oltre che nodo della mobilità su ferro. Da spartitraffico di lusso a grande isola per la “città dei 15 minuti”. E a ciò si aggiunge anche la possibilità di pedonalizzare ampi settori di via Giolitti, liberando i suoi monumenti dalla barriera dei binari.
Ci aspettiamo che questa occasione venga raccolta, valutata e approfondita. Perché è giunto il momento di correggere il brogliaccio un po’ lacunoso e sgrammaticato che ci hanno lasciato sul tavolo, e di scrivere in bella copia il futuro della città.
PER SAPERNE DI PIÙ SU:I tram ad alta efficienza
La fermata di Porta Maggiore
L’importanza del nodo di Porta Maggiore
Un servizio tranviario moderno