Rallegriamoci, gente. Piazza Venezia diventerà una grande rotatoria tranviaria. Oggi caotica rotonda automobilistica, domani crocevia e snodo tranviario. A nessuno viene in mente di considerarla come un potenziale spazio da vivere e restituire alla socialità. Nessuno ci vede la partenza e il terminale dell’asse di simmetria del Tridente e della più bella passeggiata archeologica al mondo, che dalla piazza attraversa i Fori e arriva al Colosseo.
Solo un’incultura politica e progettuale difficile da definire può pensare di scempiarla così.
Il progetto presentato per la sua trasformazione, con l’inserimento contestuale della TVA e del prolungamento del tram 8 sui Fori Imperiali, si riduce infatti a questo: un banale e frettoloso disegnino di riordino delle aiuole e la riproposizione di un groviglio tranviario che ricorda, in scala più grande, quello sciagurato dell’area archeologica di Porta Maggiore.
La nuova Trafalgar Square a Londra è stata affidata alla mano di Norman Foster; Parigi ha trasformato Place de la République nel più grande invaso pedonale, assegnandolo a dei designer francesi; per non parlare di Berlino, nel cui ridisegno si sono cimentati tutti i più grandi nomi dell’architettura mondiale.
A Roma, mettiamo invece uno dei luoghi simbolo della città nelle mani di chi, esattamente?

Il “disegnino” è però solo la punta dell’iceberg. È Infatti la conseguenza di un macroscopico errore di impostazione del PUMS (il piano della mobilità sostenibile) che vede, nella pessima sistemazione di piazza Venezia, il suo punto culminante.
Un PUMS fondato sui cosiddetti “progetti invarianti”, nati in sostituzione delle metropolitane (prolungamenti di metro A, B, C e linea D) con palliativi di vario genere: dalle preferenziali dei bus alle funivie, dai people mover ai tram. Affidando soprattutto a questi ultimi il ruolo suppletivo, ricalcando in superficie i percorsi sottratti alle “vituperate” metro ipogee.
Così è tornata in auge la TVA, che da piazza Venezia a piazza Risorgimento, passando per corso Vittorio, ricalca per 3 km il tragitto di metro C. Così per il tram sui Fori Imperiali, nato quando il prolungamento della C a piazza Venezia era ancora una bestemmia e ritrovatosi ora a pestare i piedi, oltre che al più grande patrimonio archeologico mondiale, anche alle metro A e C fino a Termini.
Peccato però che il piano strategico di una città estesa come Roma non potesse fare a meno della capienza e dell’efficienza delle metropolitane, e che dunque si sia invertita la rotta in extremis, su un piano in gran parte già fatto e finito, aggiungendole ex post, a ricalco. Un vero e proprio piano di doppioni che costringe ora a chiedere soldi per realizzare tram destinati a diventare pressoché inutili, a meno di non voler davvero rinunciare alle metropolitane. Tram che andranno peraltro sospesi e parzialmente smantellati quando avanzeranno i cantieri della Linea C.
È in questo quadro rabberciato e antistrategico che nasce la grande rotatoria di ferro di piazza Venezia. Una pista del trenino elettrico a scala naturale, con tanto di sferragliante via vai proprio davanti al Vittoriano (oggi monumento alla Patria, che forse meriterebbe per questo un respiro più rispettoso).
Invece.
Con Metrovia piazza Venezia resta uno snodo importante del ferro, ma assai più discreto: incrocio di tre metropolitane ipogee (alla C-M3 e alla D si aggiunge il prolungamento della Lido a Flaminio) e passaggio defilato del T8, da collegarsi con la prima tratta del TVA: Termini – Venezia (con passaggio davanti a Palazzo Venezia) o, preferibilmente, Termini – Largo di Torre Argentina (con fermata sul rettifilo di Corso Vittorio, lasciando spazio davanti al teatro).
Una soluzione che in entrambi i casi lascia ampio margine per ripensare tutto l’altro versante di piazza Venezia, dalla zona centrale fino ai Fori Imperiali: una grande risistemazione pedonale da immaginare come un continuum col percorso archeologico. Un ambizioso progetto di sistemazione definitiva di tutto l’asse Vittoriano-Colosseo su cui chiamare a confronto progettisti di tutto il mondo.
Occorre dare un senso compiuto alla fruizione di questo enorme patrimonio che ci ritroviamo nelle mani. L’ultima cosa che ci serve è continuare a svilirla come l’ennesima rotatoria di lusso. L’ultima cosa che ci serve è scarabocchiare la città senza un progetto, senza un’idea di città.