Metropolitane, Roma si rimette in marcia

Prolungamenti di A e C, linea D. Ottime le priorità scelte.

Dove eravamo rimasti?
Finalmente si ricomincia a parlare di metropolitane. Si riprende un filo interrotto che la giunta Raggi aveva volutamente spezzato per una contrarietà ideologica alle grandi opere, amputandosi perfino un braccio: quello operativo di Roma Metropolitane. Mettendo cioè in liquidazione la società partecipata che si occupava della progettazione delle linee e di tutto l’iter esecutivo di queste opere.
Così la prosecuzione di Metro C è rimasta ferma per un’intera consiliatura; così abbiamo rischiato il tombamento delle talpe sotto i Fori Imperiali; così sono rimasti (tuttora) in sospeso progetti minori ma utilissimi come il ponte ciclopedonale di Sacco Pastore, che estenderebbe l’accessibilità della B1 di Conca d’Oro ad un quartiere che ha la metro a due passi ma come tornello da superare, l’Aniene.

Il progetto del ponte di Sacco Pastore.

Dopo una travagliata disputa trascinatasi per anni, l’attuale amministrazione ha risolto la vicenda Roma Metropolitane, ha trovato il modo di riattaccare il braccio ripristinando la piena funzionalità dell’ente. È un passo fondamentale per rimettere Roma in cammino sul percorso lungo e faticoso, ma indispensabile, del trasporto veloce su ferro.

E non è l’unica buona notizia, su questo fronte.
Apprezzabili sono anche gli indirizzi forniti. Di fronte a uno scenario PUMS che propone anche soluzioni assai discutibili, l’amministrazione ha fatto delle scelte.
Ha indicato le priorità da cui ripartire. E sono tutte scelte felici, relative alle opere oggettivamente più urgenti e convincenti, tra quelle inserite nel piano.
La prosecuzione di Metro C a Farnesina, il prolungamento di Metro A a Montespaccato, la Metro D. Manca solo la B a Casal Monastero, ma quando si risolverà il contenzioso che la blocca, arriverà.

Su Metro C ci siamo già espressi con un documento articolato (condiviso e promosso con Roma Ricerca Roma) che suggerisce alcune modifiche in sede di progetto definitivo, prima fra tutte Ia soppressione di Chiesa Nuova in cambio di una fermata più baricentrica, che serva i veri attrattori (piazza Navona, largo Argentina, campo dei Fiori) e il cui cantiere non confligga con l’esercizio del tram TVA.

La fermata di Chiesa Nuova, e la distanza dagli attrattori.

Salutiamo quindi con molto favore le recenti dichiarazioni di Patané, nel corso di un’intervista a VisioneRoma (min. 36’25”), quando condivide e rilancia questa stessa necessità.
Ci permettiamo di mettere in guardia l’assessore dal falso luogo comune secondo cui una fermata a Sant’Andrea della Valle non si possa fare. Perché il parere rilasciato all’epoca dalla soprintendenza era motivato dal metodo di scavo previsto a quel tempo (distruttivo, senza sondaggi preliminari) ma non era pregiudizievole della fermata in sé.
Il sistema a due pozzi proposto nel 2017 da MetroxRoma e caduto nel vuoto, invece, ci pare ottimo e riproponibile e, aggiungiamo noi, avrebbe il grande vantaggio di non impattare minimamente sul tracciato (o sul futuro cantiere) del TVA a corso Vittorio.

L’ingombro dei pozzi della fermata Navona non impatterebbe sul percorso del tram TVA.

Per Metro A è importante avviare il prolungamento proprio a Montespaccato (e in prospettiva la conclusione alla fermata ferroviaria di Aurelia), dal momento che parliamo di aree (gli insediamenti popolari di via Bembo, la zona densa di Acquafredda, l’ultima periferia di Montespaccato e la possibilità di un parcheggio di scambio nelle vicinanze del GRA) che, a differenza di altre, non presentano alternative possibili: o ci arriva la linea A, o restano dimenticate dal mondo. Quindi un plauso anche per questa scelta, che lascia sullo sfondo la biforcazione a nord verso Monte Mario, vecchia proposta degli anni ‘70, assai più discutibile e risolvibile anche con strumenti e soluzioni migliori.

Il prolungamento di Metro A previsto dal PUMS metropolitano.

E poi la Metro D, dorsale fondamentale per tutta la città.
Anche qui arriva un segnale positivo: la progettazione non si ferma più soltanto a Jonio, come nelle prime ipotesi, ma si spinge al terminale di Ojetti.

Il tratto nord di Metro D con la curva verso Salario, che passa per il deposito treni.

Questo, oltre a presagire l’auspicata realizzazione integrale della linea, lascia pensare che si possa evitare quella strana curva che da tracciato PUMS protende il percorso a Roma Smistamento. È una digressione che allunga il tracciato senza centrare alcun attrattore per l’utenza, e che aveva un solo altro scopo plausibile: collegare i binari con il grande deposito treni, poiché con un primo capolinea a Jonio diventava impossibile ricavare altri punti di ricovero. Arrivando subito ad Ojetti, invece, il problema è risolto perché il deposito si può fare, nei dintorni, come previsto dal PRG.

Il deposito di Ojetti, come previsto dal PRG di Roma.

Smistamento continua a restare una risorsa utile in chiave futura, quando si deciderà finalmente di aprire la strada alle metropolitane ferroviarie, di superficie. Mentre la D potrebbe piegare subito verso via Mascagni, con una fermata che serve il quartiere Africano e che può fare nodo con Val d’Ala, la Circle Line e il traffico dell’anello ferroviario, assai utile per l’effetto rete. Peraltro, nel sistema di Metrovia questo nodo si arricchisce della metropolitana ferroviaria M4, facendo di Val d’Ala-Africano un crocevia del ferro particolarmente efficace.
Ma ci riserviamo di pubblicare un quaderno con l’approfondimento degli interventi che possono concorrere a migliorare la metro D.

Nell’ultimo quindicennio Roma è rimasta troppo a lungo ferma sulle metropolitane, aggiungendo nuovi clamorosi ritardi a quelli già gravi del passato. Oggi un primo segnale di speranza per il lungo termine è arrivato e rendiamo merito all’impegno in questa direzione della giunta e del suo assessore.
Noi ne abbiamo uno anche per il medio termine. È tardissimo. Ma regalarsi una grande opportunità, per Roma e per l’amministrazione, non è mai troppo tardi.