La mobilità romana alla sfida ecologica

Ondate di calore, alluvioni, incendi. Non c’è più tempo e il dito è puntato sulle energie fossili, che dobbiamo rapidamente sostituire se vogliamo evitare alle prossime generazioni un pianeta irrimediabilmente tossico, impossibile da vivere.
Ma affinché la cosiddetta “transizione ecologica” non rimanga soltanto una bella intenzione, deve tradursi in fatti tangibili e davvero incisivi.

Sotto questo aspetto Roma può fare molto: è la più grande metropoli italiana e in quanto tale ha un’incidenza sui numeri; è una città fortemente inquinante, ancora molto lontana dalle istanze di sostenibilità ambientale; e poi è una città insoddisfatta, che funziona male e che deve pertanto ripensare servizi e modello di sviluppo.
Roma ha quindi ampi margini e tante motivazioni per innescare questa benefica rivoluzione, facendo fino in fondo la sua parte.

Il tema trasporti è un capitolo essenziale di questo processo.
Nella capitale circolano quasi 1,8 milioni di auto, di cui un quarto ad alto impatto ambientale. La media di ore giornaliere trascorse in macchina sfiora il primato mondiale, ed è chiaro che la soluzione parta proprio da qui: ridurre sensibilmente il numero dei veicoli in circolazione.

Negli ultimi tempi ha preso piede una mobilità innovativa di indubbia utilità: da quella condivisa del car sharing a quella “dolce” di monopattini e biciclette.
Ma se questa offre una brillante risposta agli spostamenti occasionali e di prossimità, è sulla capacità diffusa di muoversi a medio e lungo raggio che si vince la partita, perché solo così la dimensione metropolitana cessa di rivelarsi un ostacolo e diventa, per tutti, l’opportunità di vivere pienamente la città.

Per invertire le cose stiamo puntando in tre direzioni: l’elettrico, le metropolitane C e D, le nuove tranvie. Tre ottimi titoli sulla carta che però, senza armare di coraggio i contenuti, si riveleranno fattori di scarso impatto nel medio periodo, e quindi non decisivi.

Per l’elettrico stiamo molto attenti: non è la mera sostituzione dell’auto a combustione che ci salverà. L’elettrico, implementato sulla vasta scala dei veicoli, è tutt’altro che a impatto zero: sia perché le ricariche richiedono un alto consumo di energia aggiuntiva che, ad oggi, possiamo produrre soprattutto dal fossile; sia perché genera il nuovo problema dello smaltimento di milioni di batterie esauste. E poi non riduce la circolazione delle auto in città.
Puntare sull’elettrico invece ha ben altro effetto se fa rima con “ferro”. Con l’obiettivo cioè di traslare grandi numeri dal mezzo privato su gomma al mezzo pubblico su rotaia: quindi su infrastrutture elettriche non inquinanti, ad alta capienza e potenzialmente molto veloci. Riducendo sensibilmente l’uso dell’auto e riconsegnando efficienza e rinnovata bellezza alla capitale.

Ma è sufficiente evocare più tram e metropolitane? No, non basta.
L’efficacia dei risultati, per Roma, passa per il “come”. Ed è qui che serve tanto coraggio.

La metro D e l’estensione delle linee esistenti, pur necessarie, sono un orizzonte di lungo periodo che l’emergenza ambientale non può aspettare. In parallelo, occorre dunque pensare a metropolitane di superficie capaci di infittire più rapidamente la rete su ferro a servizio della città. Linee e servizi che sono possibili utilizzando il patrimonio ferroviario esistente. Il progetto Metrovia indica come la Tiburtina-Guidonia e la Roma-Ciampino (oltre alle due ferrovie concesse) siano le più veloci e convenienti da realizzare, con beneficio delle periferie, nonché dei flussi dall’A24 e dalla via Appia.
Occorre un tavolo tra Comune, Regione e FS che converga su un progetto di trasporto urbano differenziato da quello regionale. È la soluzione più semplice e immediata e non è più rinviabile.

E poi i tram.
Il tram di moderna concezione è assai appetibile perché del tutto sottratto al traffico grazie a due accorgimenti essenziali: la sede esclusiva (cioè interamente dedicata al solo transito del tram) e l’asservimento semaforico (cioè segnale sempre verde per il tram). Il primo è anche la precondizione del secondo.
Invece sotto questo profilo le 7 nuove linee previste dal PUMS nascono già vecchie, perché ancora concepite in sede promiscua con bus, taxi e mezzi di soccorso. Linee peraltro con fermate troppo vicine, che rallentano i tempi di percorrenza perdendo molto del valore aggiunto che i metrotram conferiscono al sistema della mobilità.
Occorre rimediare subito a questi errori, prendendo a modello l’esempio francese e risolvendo anche il principale ostacolo all’ammodernamento del sistema: il complesso nodo di Porta Maggiore, che si può interamente ripensare e semplificare, snellendo il traffico su ferro, riorganizzando quello delle auto e valorizzando il patrimonio archeologico e monumentale esistente.

Linee su ferro ad alta efficienza, dunque. Metropolitane e metrotram integrati e complementari, per muoversi agilmente su distanze urbane medio-grandi. E poi i tanti nuovi sistemi alternativi per coprire l’ultimo miglio.
A Roma si può fare e si deve fare presto. Il clima ci avverte che il tempo delle attese ormai è finito.