Filotto o cerotto?

Perché deludono i lavori sulla linea tram Casaletto-Venezia

Dopo oltre un anno di interruzione ha da poco riaperto il tram 8 con un sedime nuovo. L’amministrazione ha rifatto l’armamento su quasi tutto il tracciato, diventato ormai obsoleto e mai rinnovato negli anni, e questa è dunque l’occasione per fare il punto sulla linea e anche un primo bilancio su questo intervento.

Lo diciamo subito. Siamo delusi dall’operazione.

Rinnovare l’armamento poteva, anzi meglio dire “doveva”, essere l’occasione per rilanciare la linea tranviaria, seguendo il modello europeo che stiamo veicolando ormai da molto tempo ma che Roma, chissà perché, è ancora restìa a recepire, anche quando ha l’occasione di farlo con facilità.

Parliamo di un modello di tram che viaggia senza interferenze, con la priorità di transito ai semafori e spesso su manti erbosi. Un andamento dunque sempre fluido: veloce e regolare. Che fa risparmiare tempo, rendendo il mezzo assai più conveniente rispetto all’automobile rallentata dal traffico.
Inoltre un tram ecologico, non solo perché è elettrico, ma anche perché sostituisce l’isola di calore dell’asfalto con il prato o con altre finiture di maggiore qualità, che smorzano la temperatura e assecondano le esigenze di tutela ambientale.

Ci ritroviamo invece di fronte alle solite occasioni perse. Che riguardano sia l’infrastruttura che il servizio.

Iniziamo dall’infrastruttura: il sedime è ancora in asfalto. Cioè amplifica l’effetto termico, invece di mitigarlo. Benzina invece che acqua sul surriscaldamento, cui contribuiscono proprio le metropoli. E maggiore incidenza sul rischio di dilatazione termica dei binari.
Se il tappeto erboso è la migliore soluzione, gradevole ed ecologica, anche il calcestruzzo drenante o alcuni tipi di basolato hanno effetti positivi: assorbono la CO₂, sanno contrastare le alte temperature, offrono un impatto estetico decisamente migliore del solito bitume.
Ci domandiamo perché almeno il lungo segmento di Casaletto-Gianicolense, che è già riservato in via esclusiva al tram (e si presta quindi benissimo all’operazione), non sia stato inerbito.
Andiamo incontro al cambiamento climatico, e l’attenzione a questi accorgimenti oggi è tutt’altro che secondaria.

E poi il servizio. Rimane lo stesso identico servizio di prima.
Una buona frequenza (6 minuti quella rilevata) e le corsie rimesse a nuovo, che garantiscono la corretta funzionalità, evitando lo spauracchio di inconvenienti dovuti all’usura. Ma per l’utente, nulla cambia. Dopo 15 mesi di attesa, nessuna novità: riecco il tram così com’era. Lento e promiscuo.

Abbiamo calcolato cronometrando più volte il percorso da un capolinea all’altro, che dei 29 minuti di viaggio ben 7 minuti e 30 secondi sono persi con il tram fermo al semaforo. Minuti che indicano solo il tempo in cui non si muove e non tengono conto dei rallentamenti della corsa, in vista dei semafori “rossi”.*
Con l’asservimento semaforico (adottato ormai in tutte le nuove linee tranviarie francesi, ad esempio) guadagneremmo di netto quel tempo di sosta, che possiamo estendere ad almeno 8 minuti, se consideriamo le accelerazioni invece dei rallentamenti in prossimità dei semafori, sempre “verdi”. 21 minuti invece di 29 significa una diminuzione del tempo di percorrenza vicina al 30%.
E un risparmio anche per Atac che, a parità di frequenza, può utilizzare meno veicoli su quella linea (potrebbero essere 4 tram in meno, considerando la frequenza ufficiale di 4 minuti negli orari di punta).

Tanto più che tutto il tracciato della linea 8 è già interamente corredato di impianti semaforici centralizzati, gestiti da una centralina di controllo (il sistema Urban Traffic Control, in uso anche a Firenze e Palermo). Se il semaforo è già verde, allunga la sua durata fino al passaggio del tram in arrivo; viceversa se è rosso, quando c’è il tram anticipa lo scatto del verde, eliminando o minimizzando i tempi di attesa.

Mappa pubblicata da Roma Mobilità nel 2018, con i tratti di linea (blu e verde), già serviti dal sistema UTC.

Basterebbe solo attivarlo? Non proprio.
Occorrevano piccoli, puntuali interventi infrastrutturali che limitassero attentamente i margini di valicabilità della sede tranviaria da qualunque altro mezzo: la corsia preferenziale sul tratto di via delle Botteghe Oscure, con le calotte in gomma che si scavalcano con agilità, è un porto di mare dove transitano di continuo taxi, auto blu, mezzi a due ruote; l’incrocio tra viale Trastevere e via Gianicolense è talmente largo e attraversato da flussi multidirezionali che lo studio di una più accurata delimitazione delle corsie di traffico appare necessario, se si vogliono evitare i rischi di intralcio.

La corsia tranviaria su via delle Botteghe Oscure.

Insomma, sprecare queste opportunità per non fare nulla di diverso, quando Roma ha disperato bisogno di ripensare i suoi servizi in senso più moderno, efficace e quindi attrattivo per la nuova utenza, è qualcosa che non ci possiamo assolutamente permettere.

Si è persa una bella chance con il tram 8: oggi sindaco e assessore potevano annunciare il rilancio di una linea visibilmente migliorata nell’infrastruttura e nel servizio. Che magari era anche ciò che il cittadino medio si aspettava, dopo 15 mesi di interruzione.

Con questo sottolineiamo all’amministrazione, ancora una volta, che la soluzione da noi proposta per semplificare il nodo tranviario di Porta Maggiore è anche lo spunto per ammodernare non una, ma quattro linee, nel senso appena descritto. Migliorando anche in parte le scarne connessioni del nodo Pigneto.

C’è dunque una buona occasione per recuperare e rilanciare alla grande il sistema tranviario. Che può essere davvero essenziale per questa città se si lavora con coerenza su due parole: qualità e modernità.
Con la mera riproposizione del vecchio ci facciamo poco.

* Rilevazione effettuata su più corse nel giorno di giovedì tra le 10.30 e le 12.30. La media arrotondata di 7 minuti e 30 secondi è la risultante di tempi minimi di 7′ 22″ e massimi di 7′ 43″, nel complesso abbastanza omogenei.