Sembra incredibile, ma talvolta a Roma chi progetta non sa dove progetta
La funivia Villa Bonelli – Eur Magliana (unico possibile valico del Tevere e collegamento tra Metro B, Roma Lido e ferrovia per Fiumicino) non avrà il suo parcheggio di scambio: al suo posto era già prevista un’area di servizio, oggi in costruzione.
Infatti, come si vede bene da Google Maps e dal cartello in loco, il terreno dove era previsto il parcheggio da 210 posti a servizio del terminale di Villa Bonelli, è ora occupato dal cantiere per questa nuova opera: sono già state realizzate le fondazioni della pensilina e una struttura metallica, forse destinata a uffici e locali commerciali. Si nota anche la predisposizione per il serbatoio interrato.
Sembra insomma che l’amministrazione dovrà proprio tornare al tavolo da disegno e modificare il progetto ereditato, individuando un’altra area per il parcheggio di scambio. Sperando peraltro che quella a sud del terminale della funivia sia disponibile, altrimenti saremo di fronte all’ennesima opera zoppa, mal congegnata: la sciagura costante dei nostri trasporti locali.
Non è la prima volta infatti che succede un pasticcio del genere.
Qualcuno ricorderà la vicenda della funivia Casalotti, prevista dal PUMS e poi finanziata. Il parcheggio di scambio della stazione di Collina delle Muse doveva sorgere su un terreno privato, dove è invece spuntato (anche lì) un nuovo distributore di benzina. Per fortuna quella funivia (che non ha mai davvero convinto la maggioranza dei romani), è stata “congelata” dall’attuale amministrazione e quindi in questo caso l’increscioso problema è venuto meno.
Ma emblematica fu anche la querelle sull’estensione della Metro B a Casal Monastero. Assegnato in project financing a un consorzio di imprese, il piano aveva previsto che le spese sostenute dal consorzio per la realizzazione dell’opera fossero compensate con l’assegnazione di alcuni terreni utili a conseguire operazioni immobiliari. Peccato che i terreni fossero destinati ad usi diversi e quindi al momento buono non risultarono disponibili. E a nulla valse neppure il tentativo, fallito, di approvare ex post le necessarie varianti urbanistiche. Morale, il consorzio ha chiesto la risoluzione del contratto per inadempienza, con una controversia finita in tribunale.
Quindi, lavori bloccati per anni, oltre alla spada di Damocle di una richiesta risarcitoria di 357 milioni di euro, a fronte di un valore totale delle opere di 556 milioni! Tanti soldi, certo, per uno svarione. Ma quanto costa il danno inferto ai cittadini, per il mancato prolungamento che ancora aspettiamo?
Ma c’è di più. Anche la Metro C potrebbe essere interessata da un episodio analogo. Infatti il tracciato della tratta T2, revisionato due anni fa, posiziona la stazione Clodio all’interno dell’area verde compresa tra lo stesso piazzale Clodio, via Teulada e le pendici di Monte Mario. E nei pressi è previsto anche il terminale della funivia di Monte Mario.
Ebbene, quella stessa area è assegnata ai 24.000 m2 di ampliamento della Città Giudiziaria, come da protocollo d’intesa firmato nel 2019 tra il presidente della Regione Zingaretti, la sindaca Raggi e il ministro della Giustizia Bonafede.
Aridànghete. Ma almeno qui siamo ancora in tempo per trovare una sistemazione alternativa per la nuova città giudiziaria, oppure per apportare qualche modifica in sede di progetto definitivo della linea C.
Alla luce di queste ripetute gravi cantonate, viene da chiedersi come sia possibile che gli uffici preposti alla pianificazione e progettazione delle opere di mobilità non parlino con gli uffici dell’Urbanistica (e viceversa). Ci si chiede perché non vengano esercitate le opzioni legate alla pubblica utilità dei terreni prima che ci si possa edificare, e perché vengano concesse licenze su terreni di interesse pubblico.
È evidente che c’è un cortocircuito che si trascina da anni: troppo spesso a Roma la mano destra non sa cosa fa la sinistra e viceversa.
Noi lo diciamo spesso: urbanistica e mobilità sono due facce della stessa medaglia. Sarebbe ora dunque di unificare i due assessorati in un’unica grande struttura: un solo assessore e due vice con rispettive deleghe.
Chissà che una volta tanto, da una stanza all’altra, qualcuno non butti una voce.